venerdì 27 aprile 2012

LA PIETÀ DELLA COSCA (CronacaQui 24/04/2012)

In mezzo al cortile c’è una statua della Madonna col Cristo morto e sanguinante tra le braccia. Intorno i magazzini e gli alloggi usati dai Cosco per i traffici d’armi e di droga della ‘ndrangheta, muri scrostati testimoni del rapimento e dell’atroce e infame uccisione della pentita Lea Garofalo, ex compagna del boss Carlo, nel 2009 torturata qui e poi sciolta nell’acido in un terreno di San Fruttuoso, nei pressi di Monza. Viale Montello è la frontiera tra la Chinatown milanese e l’area di Porta Volta. Del fatiscente stabile al civico numero 6 si è già scritto e detto molto. Di proprietà dell’Ospedale Maggiore, che per lungo tempo l’ha abbandonato per non spendere soldi in progetti di recupero, negli anni ’90 è stato invaso da occupanti abusivi. In quest’ondata d’ingressi illegali si è infilata pure la famiglia Cosco da Crotone, che ha fatto del vecchio edificio un fortino della delinquenza, subaffittando senza titoli decine di appartamenti a extracomunitari e gestendovi affari sporchi. A marzo scorso i capi del clan (Carlo e i fratelli Vito e Giuseppe) sono finiti all’ergastolo per l’omicidio Garofalo, ma nel palazzo la situazione è ancora di totale irregolarità. Sì, si è scritto e detto molto dei fatti di Viale Montello 6, ma niente su cosa ci si vede dentro. Così ho deciso di andarci, non speranzoso di spiare chissà che, ma per annotare i dettagli, a volte tragici quanto la cronaca. Su uno sfondo di cielo azzurro intenso del dopo temporale, che Milano pare Napoli o Marsiglia, si stagliano tre piani di ballatoi pericolanti, una processione di ringhiere arrugginite che circondano il cortile. Sullo spiazzo attraversato da cinesi con i carrelli carichi di merci, è posteggiato un furgone con una faccia cattiva disegnata sul portello posteriore. Sembra guardare con disprezzo la statua della Madre piangente al suo fianco col cadavere di Gesù. Davvero non c’è posto dove la Pietà poteva stare meglio.

giovedì 19 aprile 2012

IL LADRO CHE BENEDIVA LE BICICLETTE (CronacaQui 17/4/2012)

«E buttala via sta fetentona, deciditi! È vecchia, mezza arrugginita e fa un casino quando ci pedali che pare un’impastatrice». Col suo accento pugliese da cabaret, Franco il meccanico di Porta Vittoria, dopo l’ennesima riparazione alla mia cigolante Touring azzurra, vuole convincermi a rottamarla per acquistare un modello dei suoi. «Guarda che bellezza questa, è da corsa, ‘na cosa da fenomeni. Era di un pensionato che manco può stare in piedi, come nuova. La vuoi? Trecento euro».
È un emigrante all’antica col senso degli affari. In officina vende pure bottiglie di Bonarda impolverate, dipinti di un tale artista del luogo Zecca e trapassate edizioni del Codice civile. Qualche soldo poi se lo rigioca a carte insieme a un folcloristico gruppo di amici corregionali, su un tavolo improvvisato tra gli attrezzi e i materiali di scarto.
«Ho capito che tipo sei», mi fa vedendomi indeciso, «un risparmiatore! Ora contro il mio interesse ti spiffero qualche mercatino dove con una carta da cinquanta ci prendi una fuoriserie. Qui sti traffici per carità, alla larga, se mi beccano sai che figuraccia ci faccio io? Solo uno in trent’anni m’ha fregato a me, solo uno, sto disgraziato!».
Franco ossequioso sistema i freni a bacchetta di un cliente che chiama “l’avvocato”, e subito torna a raccontare. «Una volta entra qua con una bici un giovanotto che si lagnava, tutto piagnucolante. Mi dice: ‘La prego, mi dia ciò che vuole e la tenga, era della mia povera moglie defunta, io non riesco neanche a guardarla, il dolore dei ricordi è fortissimo’. Perciò mentre gliela pago per fare un’opera buona, questo mette una mano sul manubrio e con l’altra si fa il segno della croce. Poi solenne che pareva un vescovo, si cala e bacia la sella. Oh, sembrava un funerale! M’ha fatto così impressione sta cerimonia che manco l’ho rivenduta la bici. Mica potevo guadagnarci alle spalle della morta, no? Dopo un mese però sto ragazzo torna con una mountain bike bella nuova: ‘La prego ancora, è sua a buon prezzo, l’ha lasciata la mia cara zia scomparsa’. ‘Ah sì?’, gli faccio, ‘e quanti parenti ti schiattano a te, brutto fetentone disgraziato! Sei un ladro zozzone, vattene via che ti prendo a mazzate!’».
Se il mistico ladro che benedice le biciclette dovesse trafugare pure la vostra, sappiate quindi che non la recupererete più da Franco. In compenso sul sito www.rubbici.it c’è un archivio dei cicli rubati a Milano. In caso di furto segnalatelo inserendo una foto del mezzo. Io previdente sfrutto pure questo spazio su CronacaQui a vantaggio della mia Touring cigolante.

venerdì 13 aprile 2012

VENERDÌ ORE 18: FUGA DA MILANO (CronacaQui 10/4/2012)

Questa volta c’è pure la Pasqua nel mezzo e l’effetto si moltiplica. I pendolari del fine settimana abbandonano la città come se fosse una nave in affondamento, e si precipitano alle stazioni trascinando i trolley, riempiti la mattina a casa e portati in ufficio.
Quando si aprono in Centrale le carrozze della metropolitana, a botto ne esce l’ardita valanga di viaggiatori. Non si voltano e concentrati sondano lo spazio davanti per scansare ostacoli e immaginare lo slalom che li condurrà al binario.
In bicicletta, pedalando altrove, tutto ciò non si vede, ma ne arriva l’eco. Se l’abitudine è serpeggiare fra le strettoie del traffico intuendo le mosse di automobilisti e pedoni, in costante allerta di uno sportello che ci si para di fronte, quel metro di strada in più al semaforo, l’aria di un grammo meno pesante, si notano e rimandano a un fatto: è venerdì, l’esercito di lavoratori rubati da Milano alle provincie del Nord, si fa da parte per due giorni.
C’è chi ritorna in famiglia, il fidanzato che si ricongiunge alla sua metà o il giovane professionista senza amici per mancanza di tempo che scappa pure dalla solitudine.
Se da un lato svuotano un po’ la città lasciandola più vivibile a chi rimane, dall’altro ribadiscono l’indifferenza che nutre per Milano chi la frequenta perché qui ha un’occupazione e basta.
Vivono con il luogo un rapporto di convenienza economica privo di passioni e curiosità: il loro impegno in cambio dei soldi, non cercano esperienze diverse né sono disposti a dare qualcosa di sé lontani dalle scrivanie.
Eppure, ad ogni ritorno a casa, ci sarà una suggestione, un’immagine legata a questa metropoli che porteranno via insieme allo stipendio. Mi chiedo se sia la fermata dove aspettano il tram la mattina, la faccia del ragazzo che consegna le pizze a cena, la cassa del supermercato o qualcos’altro.