Ci ho pensato la settimana scorsa in Via Menabrea scoprendo per caso il “Museo della macchina da scrivere”, al numero 10.
Il fondatore Umberto Di Donato, proprietario di una collezione con più di mille apparecchi, mi accompagna tra gli scaffali, dove le rare Remington, Triumph e Olivetti, esposte insieme ad antiche locandine pubblicitarie, fanno di questo spazio un qualcosa di bello per gli occhi.
«Nel 1959, appena arrivato a Milano da Caserta per lavorare alla Comit, acquistai una Lettera 22, la stessa che usava Indro Montanelli. La scelsi perché il mio compagno di stanza era un agente della Olivetti e me la procurò a prezzo agevolato. Così ricevetti anche uno dei pochi esemplari del 33 giri “Musica per parole”, dove il grande Mario Soldati spiegava come battere con tutte e dieci le dita. Ai tempi chi sapeva scrivere a macchina aveva un impiego e la libertà».
Mentre Di Donato mi mostra i suoi modelli più cari, rimarcando che ognuno «evoca l’anima di chi l’ha posseduto», il suo tono si fa aulico e preciso. Le parole sembrano uscire dal rullo di una Lexikon 80 di un vecchio professore di lettere, senza una sbavatura sulla carta. Capisco che quella Lettera 22 è stata un’amica che lo ha aiutato ad affermarsi nel lavoro e a vivere a Milano con orgoglio provenendo dal Sud.
«L’anima di questa macchina deve essere finita all’inferno», dice indicando la Clear Tech usata in un carcere texano dal condannato a morte Greg Summers, donata al museo da Amnesty International.
Poi ce n’è pure una cinese, con una testina mobile che seleziona l’ideogramma in una matrice di quattromila minuscoli e indistinguibili elementi. «Sa che in Cina per istruire un dattilografo ci vogliono due anni? L’ho persino portata in Paolo Sarpi per chiedere a qualcuno come funziona, ma nessuno ha potuto aiutarmi».
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RispondiEliminaPer provare a cercare di conoscere e apprezzare Milano, mi sa che forse solo il tuo blog può errermi utile! ^-^
RispondiEliminaBuone pedalate...
Ciao
Carol
Che articolo gradevole!!! Chissà se si può già parlare di archeologia industriale, certo è che c'è una grande riscoperta di quei siti produttivi e delle macchine attraverso le quali le produzioni si sono attuate.
RispondiEliminaIl passato aiuta a capire melgio il presente, soprattutto a chi non c'è stato, e questo museo dona un grande contributo in tal senso.
Anche i pedali hanno rappresentato la forza motrice per alcune delle prime automazioni..
Quindi? Tutti in bici al museo della macchina da scrivere?
Perchè no?
Luigi - Ciclista - Roma