venerdì 11 maggio 2012

L’ALTRA METÀ DEL GASOMETRO (CronacaQui 9/05/2012)

Il mio amico Antonio ha perso l’ultimo passante della notte in Bovisa, e adesso sfoga tutta la sua insofferenza per Milano. I cancelli automatici della stazione gli si sono serrati davanti, come avessero obbedito a un impeto vendicativo della città, che punisce chi la detesta. Così, sotto la pioggia incessante, ci dirigiamo per via Mac Mahon ad aspettare un tram, lui a piedi e io che trascino la bicicletta mentre lo accompagno. «Non ne posso più, qui la vita se le mangiano il lavoro e i trasporti, e se avanza del tempo cosa c’è da vedere in questo grigiore?», mi chiede con l’ombrello inclinato sopra le nostre teste, e mentre ascoltandolo penso che un paracqua invisibile lo porti con sé pure nelle giornate di sole, una benda nera sugli occhi che strozza le sue curiosità. Ci avviciniamo a Villapizzone, in uno scenario di cascine in degrado e reperti industriali immersi nel silenzio. Gli confesso che a me piace e vorrei tornarci l’indomani a scovare angoli suggestivi, ma risponde che nei paraggi desolati tuttalpiù possiamo imbatterci in un malavitoso intenzionato a derubarci. Piu in là, da un parco attiguo alla ferrovia, sentiamo propagarsi le voci dei canti e dei balli di una surreale festa di famiglie cilene, allegre alla luce fioca di pochi lampioni e nel contorno squallido della periferia. Mi sembrano creature dell’oscurità che animano i margini di Milano fino all’alba e poi spariscono, e divertito lo dico ad Antonio, che invece li reputa solo stranieri privati di spazi ricreativi autentici, esiliati qui dal latente razzismo diffuso. Così fra di noi il conflitto persiste, intanto che camminiamo taciturni e nervosi. Poi una scoperta in via Lambruschini ci viene in soccorso: la metà di un gasometro è dipinta sulla facciata di un palazzo, che copre l’impianto reale eretto sullo sfondo. Alla città che ognuno immagina ce n’è sempre un’altra sovrapposta, e la verità oscilla spesso fra due ipotesi sensate.

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