martedì 28 febbraio 2012

L’EX FABBRICA DELLA LAMBRETTA (CronacaQui 10/1/2012)

Dall’esterno dei tre giganteschi capannoni a volta, nessun indizio segnala che si sta entrando in uno dei vecchi templi dell’industria italiana. Via Raffaele Rubattino 75, oltre la Tangenziale Est: qui fino al 1971 si produceva la Lambretta.
Scavalco il recinto e mi incammino, fra siringhe, ciottoli e cartocci di botti di capodanno, alla ricerca di tracce di quell’epopea.
Una ragnatela di crepe spacca l’asfalto del piazzale. Tra la breccia e i mattoni crollati dalle facciate dei depositi si contorcono i cavi arrugginiti dei pilastri atterrati dalle ruspe.


Macerie sulle macerie: il cemento frantumato affossa i lastroni d’alluminio incastrati alle travi di legno spezzate dalle frane. Distante, oltre una spianata coperta di polvere e di arbusti, un’orchidea pende dalle maglie di una grata.
Scalciando fra pezzi di cartone umido marchiati “Innocenti” raggiungo una parete grigia nello spogliatoio degli operai. Striscio il pollice su quattro motociclette schizzate col gesso, e l’intonaco scrostato si ammucchia sulla punta e sui lacci di vecchi scarponi da lavoro col cuoio scucito e il tacco rialzato.
Lungo un corridoio freddo al piano terra della palazzina degli uffici calpesto timbri, documenti contabili e cartoline in bianco e nero sparse sul pavimento ruvido e traballante. Salgo le scale coi parapetti che penzolano sulla tromba e ad ogni passo il vetro delle finestre rotte si sminuzza sotto le mie scarpe.
Esco in cortile e mi perdo tra cumuli di detriti nascosti da cespugli. All’improvviso, poco davanti a me, un grosso fagiano scatta in aria come un petardo e vola via strepitando. Spaventato capisco che la natura ha iniziato a riprendersi ciò di cui l’uomo non si è curato, e non ammette nuove intrusioni. Così mi sento di troppo: riprendo la bici e torno in città.

Nessun commento:

Posta un commento